Il docente, che per lo studente è il fulcro dell’apprendimento, è fondamentale sia per la scelta dei testi (scritti o orali) da usare come elementi centrali delle lezioni, sia per incoraggiare e promuovere la creazione di testi costruiti dagli allievi singolarmente, in coppie o in gruppo.
L’insegnante deve anche esercitare un adeguato controllo sul proprio modo di parlare alla classe perché è la forma più importante di input comunicativo a cui l’allievo è esposto.
Questo controllo può raggiungere alti livelli di precisione se il docente fa attenzione a tutti gli aspetti del parlato: pronuncia, intonazione, lessico, morfosintassi, pragmatica.
In classe dunque, il parlato dell’insegnante è rilevante, specialmente in contesti di apprendimento isolati, cioè in lezioni di italiano come lingua straniera all’estero ma anche in situazioni di apprendimento di italiano L2 in Italia. Il parlato del docente è una guida per lo studente ed è fondamentale per l’elaborazione di un output soddisfacente.
A meno che non sia basato su un testo scritto, il parlato è caratterizzato da due elementi fondamentali: fonicità e spontaneità. A differenza dello scritto è volatile e dà origine a fenomeni vari: frasi spezzate, cambiamento di percorso, cambi di soggetto e false partenze. La sua coesione si basa su fattori linguistici ma anche su elementi non-verbali e pragmatici (contesto, toni di voce, sguardi, gesti).
Il parlato risulta quindi determinato da alcune modalità di codifica del messaggio che si manifestano in una serie di fenomeni:
1) lo stretto legame con la situazione e il contesto extralinguistico:
- riferimenti, impliciti o espliciti, a conoscenze condivise;
- frequente uso di deitttici (qui, lì, questo, quello);
- suoni non verbali (risate, colpi di tosse, emissioni indistinte) che integrano il linguaggio aggiungendo ulteriori significati;
- modulazione della voce che grazie al volume, al tono, al ritmo, all’intonazione permette di calibrare lo stile comunicativo.
2) la frammentarietà dell’enunciato:
- false partenze, esitazioni, interruzioni e autocorrezioni, frasi lasciate a metà;
- il prevalere della semantica sulla sintassi;
- ripetizione delle stesse parole, anche a breve distanza, per realizzare la coreferenza, cioè il riferimento allo stesso oggetto del discorso;
- ripetizioni e riformulazioni che rallentano il ritmo della produzione e che danno il tempo all’interlocutore di pianificare il proprio intervento successivo;
- ripresa e riformulazione (anche a distanza) degli stessi concetti;
- distribuzione delle informazioni meno lineare rispetto allo scritto, ma non per questo meno efficace a livello comunicativo;
- code-switching, con passaggi dalla lingua standard al neostandard, o da una lingua all’altra con funzione espressiva e di adeguamento alle competenze della classe;
- code-mixing, con l’inserimento nel discorso di parole di un’altra lingua, per colmare vuoti di competenza del locutore.
3) il frequente ricorso a segnali discorsivi per organizzare il parlato e gestire l’interazione:
- demarcativi che servono per indicare l’inizio del discorso: it. allora, be’, ecco; ingl. well, so; ted. also; spagn. bien, entonces; fr. et bien, alors);
- segnali fatici per assicurare il contatto con l’interlocutore o per sollecitare pragmaticamente l’assenso e la partecipazione (guarda, senti, sono stato chiaro? ho reso l’idea?)
- connettivi diversi da quelli usati nello scritto (allora, dunque, fatto sta che, comunque per riprendere il filo del discorso dopo una digressione);
- interazioni e locuzioni con valore pragmatico (wow per esprimere meraviglia, ehi che sollecita una risposta, ciao come saluto).
Docenti e allievi rivestono ruoli comunicativi asimmetrici dal momento che in classe l’insegnante mostra il suo potere interazionale quando: parla più dei suoi interlocutori, fa un numero maggiore di domande, apre e chiude l’interazione, introduce cambiamenti di tema.
Nella classe di L2 però, spesso i ruoli tra interlocutori cambiano e si invertono. Un bravo insegnante di italiano L2 deve trovare le strategie adatte per sollecitare il più possibile l’output dei suoi allievi riuscendo a ribaltare l’equilibrio fra il tempo di eloquio degli interlocutori a favore degli apprendenti che devono essere stimolati a parlare il più possibile.
Alberto Bartolomeo