giovedì 23 luglio 2015

Il parlato del docente nella classe di italiano L2



Il docente, che per lo studente è il fulcro dell’apprendimento, è fondamentale sia per la scelta dei testi (scritti o orali) da usare come elementi centrali delle lezioni, sia per incoraggiare e promuovere la creazione di testi costruiti dagli allievi singolarmente, in coppie o in gruppo.
L’insegnante deve anche esercitare un adeguato controllo sul proprio modo di parlare alla classe perché è la forma più importante di input comunicativo a cui l’allievo è esposto.
Questo controllo può raggiungere alti livelli di precisione se il docente fa attenzione a tutti gli aspetti del parlato: pronuncia, intonazione, lessico, morfosintassi, pragmatica.
In classe dunque, il parlato dell’insegnante è rilevante, specialmente in contesti di apprendimento isolati, cioè in lezioni di italiano come lingua straniera all’estero ma anche in situazioni di apprendimento di italiano L2 in Italia. Il parlato del docente è una guida per lo studente ed è fondamentale per l’elaborazione di un output soddisfacente.
A meno che non sia basato su un testo scritto, il parlato è caratterizzato da due elementi fondamentali: fonicità e spontaneità. A differenza dello scritto è volatile e dà origine a fenomeni vari: frasi spezzate, cambiamento di percorso, cambi di soggetto e false partenze. La sua coesione si basa su fattori linguistici ma anche su elementi non-verbali e pragmatici (contesto, toni di voce, sguardi, gesti).
Il parlato risulta quindi determinato da alcune modalità di codifica del messaggio che si manifestano in una serie di fenomeni:

1) lo stretto legame con la situazione e il contesto extralinguistico:
  • riferimenti, impliciti o espliciti, a conoscenze condivise;

  • frequente uso di deitttici (qui, lì, questo, quello);
 
  • suoni non verbali (risate, colpi di tosse, emissioni indistinte) che
 integrano il linguaggio aggiungendo ulteriori significati; 
 
  • modulazione della voce che grazie al volume, al tono, al ritmo,
 all’intonazione permette di calibrare lo stile comunicativo.

2) la frammentarietà dell’enunciato:
  • false partenze, esitazioni, interruzioni e autocorrezioni, frasi lasciate
 a metà;
 
  • il prevalere della semantica sulla sintassi;
 
  • ripetizione delle stesse parole, anche a breve distanza, per realizzare
 la coreferenza, cioè il riferimento allo stesso oggetto del discorso;
 
  • ripetizioni e riformulazioni che rallentano il ritmo della produzione e che danno il tempo all’interlocutore di pianificare il proprio intervento
 successivo;
  • ripresa e riformulazione (anche a distanza) degli stessi concetti;
  • distribuzione delle informazioni meno lineare rispetto allo scritto, 
ma non per questo meno efficace a livello comunicativo;
  • code-switching, con passaggi dalla lingua standard al neostandard, 
o da una lingua all’altra con funzione espressiva 
e di adeguamento alle competenze della classe;
 
  • code-mixing, con l’inserimento nel discorso di parole di un’altra lingua,
 per colmare vuoti di competenza del locutore.

3) il frequente ricorso a segnali discorsivi per organizzare il parlato e gestire
 l’interazione:
  •  demarcativi che servono per indicare l’inizio del discorso: it. allora, be’, 
ecco; ingl. well, so; ted. also; spagn. bien, entonces; fr. et bien,
  alors);
 
  • segnali fatici per assicurare il contatto con l’interlocutore o per
  sollecitare pragmaticamente l’assenso e la partecipazione 
(guarda, senti, sono stato chiaro? ho reso l’idea?)
 
  • connettivi diversi da quelli usati nello scritto (allora, dunque, fatto sta
 che, comunque per riprendere il filo del discorso dopo una
 digressione);
 
  • interazioni e locuzioni con valore pragmatico (wow per esprimere
 meraviglia, ehi che sollecita una risposta, ciao come saluto).

Docenti e allievi rivestono ruoli comunicativi asimmetrici dal momento che in classe l’insegnante mostra il suo potere interazionale quando: parla più dei suoi interlocutori, fa un numero maggiore di domande, apre e chiude l’interazione, introduce cambiamenti di tema.
Nella classe di L2 però, spesso i ruoli tra interlocutori cambiano e si invertono. Un bravo insegnante di italiano L2 deve trovare le strategie adatte per sollecitare il più possibile l’output dei suoi allievi riuscendo a ribaltare l’equilibrio fra il tempo di eloquio degli interlocutori a favore degli apprendenti che devono essere stimolati a parlare il più possibile.


Alberto Bartolomeo

venerdì 29 maggio 2015

Lezioni d'italiano all'aperto

Attività di produzione orale.
Funzione comunicativa: chiedere per sapere / chiedere per conoscere.

Sono un'insegnante di italiano come L2 da molti anni e nella mia esperienza ho sperimentato diverse tipologie didattico-comunicative, anche a seconda della provenienza specifica dei componenti della classe.
A un certo punto è nata in me l'esigenza di fare e proporre attività più coinvolgenti e fuori dal classico schema della lezione frontale, nella quale lo studente si ritrova relegato, suo malgrado e a mio sentire, in un ruolo eccessivamente passivo-oppressivo.
A tale proposito ho letto recentemente un articolo nel quale si parla di una nuova metodologia didattica, nata negli Stati Uniti, che è stata chiamata flipped lesson, traduco liberamente lezione ribaltata o alla rovescia.
Qualcuno ne ha forse sentito parlare?
La lezione diventa in realtà un microlaboratorio nella quale si usano e confrontano metodologie già apprese. Diventerebbe così un momento di confronto della corretta acquisizione delle competenze, e mi domando se in qualche modo questa tipologia di apprendimento non possa essere applicata anche nell'insegnamento dell'italiano L2.


Amo quelle che chiamiamo lezioni partecipate e da qualche tempo penso a lezioni che si possano svolgere fuori dall'aula, immerse nella realtà e non nella meta-realtà della classe, dove l'insegnante assume su di sè un ruolo troppo centrale e auto-referenziale, nel difficile e spinoso rapporto contemporaneo di più relazioni da gestire. Il mio sogno adesso si chiama outdoor lesson o lezione all'aria aperta, da svolgere una volta a settimana.
Sono arrivata a questa idea perchè mi sembra che l'aula possa diventare a volte un luogo di eccessiva immobilità e passività, e seguendo la teoria del TPR (Total Phisical Response) sappiamo quanto l'apprendimento non sia solo un processo intellettivo ma anche e soprattutto un percorso di acquisizione emotiva.
Così un giorno ho seguito l'ispirazione e ho proposto agli studenti un'attività completamente nuova: ho spiegato come si sarebbe svolto il lavoro, che avrebbe preso il tempo necessario, forse più di un giorno e ho chiesto agli studenti il loro feed-back.
Ho chiesto se ognuno fosse d'accordo a sperimentare un'attività che si sarebbe svolta all'aperto e non in classe e tutti hanno risposto assai positivamente. L'attività consisteva nel costruire un'intervista nella quale formulare domande curiose su Firenze e sull'Italia, che poi gli allievi accompagnati da me avrebbero posto ai passanti.
Ho proposto anche di poter fare delle riprese video e di nuovo ho trovato tutti d'accordo.
Usare la telecamera dava a me la possibilità di uscire dal ruolo principale dell'insegnante, usare la mia creatività entrando nel panni di una neo-videomaker allo sbaraglio e anche poter poi – rivedendo il materiale- svolgere un ulteriore lavoro didattivo di commento e riflessione sul successo o meno del lavoro.
Le interviste piano piano sono state costruite e con il lavoro già pronto abbiamo aspettato che arrivasse un giorno di sole nel quale questa attività sarebbe stato ancora più piacevole, si piacevole, divertente e appagante. Credo che se si apprende in modo piacevole il risultato sia duplicato, anche se a volte non tutti apprezzano o capiscono al volo il senso di tale didattica.
Come potrete immaginare ero o meglio eravamo molto emozionati e per questo ancora più motivati nel nostro obiettivo. La parte più divertente è stata certo fermare i passanti e devo dire con molta sopresa che nessuno ci ha detto di no, anzi le persone erano felici di poter raccontare qualcosa sulla loro vita e sulla loro cultura e gli studenti felici di vedersi capaci di comunicare con persone diverse dal loro insegnante. Insomma un vero successo per me e i ragazzi, una piccola esperienza vissuta insieme, un'emozione non da poco.
Continuo a pensare di poter svolgere ancora altre attività fuori dell'aula e già un piccola idea, come un seme, germoglia.

Cristina Silori

martedì 19 maggio 2015

I metodi d'insegnamento induttivo e deduttivo


Il metodo di insegnamento induttivo si sta affermando sempre di più e la moderna glottodidattica tende a considerarlo più efficace di quello deduttivo.
Lo schema di insegnamento deduttivo, cioè quel percorso che va dal generale al particolare, prevede, grosso modo, le seguenti fasi: presentazione della regola da parte dell’insegnante (anche con l’ausilio di schemi, tavole e specchietti proposti dal libro di testo), memorizzazione della regola, verifica della validità della regola e riflessione sulle eccezioni tramite lo svolgimento di esercizi opportuni.
I recenti libri di grammatica italiana per stranieri hanno invece un’impostazione che privilegia situazioni e fenomeni della vita di ogni giorno, fornendo la lingua nel vivo delle sue funzioni e riservando solo all’ultimo uno spazio per la riflessione grammaticale.
Nel metodo induttivo il ruolo dell’insegnante ha lo scopo di guida alla scoperta della norma. L’insegnante esperto di italiano L2 sa adattare e calibrare la somministrazione di usi concreti della lingua a seconda delle competenze e dell’indole dei propri studenti.
Più semplice la situazione di classi omogenee in cui gli allievi condividono la stessa lingua madre e per i quali un’impostazione può andar bene e risultare efficace per tutti. La riflessione degli studenti sulla lingua sarà più o meno simile e gli interventi esplicativi dell’insegnante si potranno concentrare sulle stesse difficoltà e sulle stesse differenze con la lingua di partenza che generano errori nella lingua di arrivo.
Più complesso è il caso di classi miste con lingue di partenza diverse fra loro.
L’insegnante in questo caso dovrà fare attenzione nel veicolare informazioni efficaci anche con l’ausilio di esempi e immagini comprensibili a tutti.
Una didattica attiva in cui lo studente è invitato a lavorare da solo, in coppia o in gruppo (con l’eventuale intervento dell’insegnante nel caso di difficoltà), è utile a sviluppare maggiore consapevolezza sui fenomeni linguistici, più di molte e dettagliate spiegazioni su regole e funzioni grammaticali che tendono a essere chiare lì per lì ma non hanno la forza di essere comprese e memorizzate fino in fondo.
Lo stimolo generato dalla spiegazione di una regola grammaticale è chiamato dai linguisti input, ma lo scopo del bravo insegnante è quello di consolidare nello studente l’uso di tale regola, quello che i linguisti definiscono intake, la comprensione, cioè, definitiva e interiorizzata, della regola da verificare in fase di output comunicativo, il momento in cui lo studente è chiamato a parlare e a riutilizzare la norma appresa attraverso l’esercizio.
Tale metodo rende l’apprendente, con l’opportuna guida dell’insegnante, il protagonista di un percorso di scoperta della regola a partire dagli usi, e offre indubbi vantaggi a livello psicopedagogico: egli assume un ruolo attivo nel percorso didattico e le regole individuate sono più facilmente memorizzabili. Questo metodo riveste un’utilità formativa più generale in quanto stimola l’attitudine all’osservazione, alla scoperta di regolarità, alla capacità di formulare ipotesi, cioè quelle strategie autonome di apprendimento utili in generale e nello specifico per l’apprendimento delle lingue straniere.